Casino: un nome che proviene dal casino di caccia dei nobili nei secoli passati, in cui, dopo la partita di caccia, gli uomini, in assenza delle mogli, si intrattenevano con donnine allegre (casino), o con giochi d'azzardo (casinò).
Il nome bordello trae invece origine dal francese "Au bord de l'eau", ovvero luogo lungo le sponde (bordi) della Senna dove solitamente i parigini si appartavano per soddisfare le loro esigenze sessuali.
I "casini" a Foligno erano attivi da tempo… immemorabile. La loro storia "più recente" (almeno dagli anni Quaranta del Novecento) ricorda tre nomi: Elsa, Gina e Pina.
La loro ubicazione in via del Giglio: tre "case" quasi allineate, come racconta uno degli ultimi frequentatori fra i tanti che il 20 settembre 1958, grazie alla legge della senatrice socialista Lina Merlin, trovarono sbarrata (e per sempe) la porta d'accesso.
Da fuori, era facile individuarle e colorire con la fantasia il mondo che le animava, per via di quelle persiane "perennemente" serrate con una catenella e un lucchetto.
Tre luoghi di appuntamento a prezzi… differenziati, con tutte le garanzie di riservatezza per chi esigeva certi riguardi, ma disponibili anche per chi non badava agli "agi", contentandosi di un sesso più a buon mercato.
Da Pina si poteva salire al "riparo" degli sguardi indiscreti e se ne poteva discendere, lo stesso, senza essere visti, ed era assicurata ogni garanzia alla propria privacy.
Nella sala d'aspetto, ben arredata (come si conveniva per una clientela scelta ed esigente), in un clima… salottiero… riservato e assai intrigante, felice connubio di luci, divani e velluti, avveniva la "scelta" della "ragazza" che faceva trapelare con "discrezione" le proprie fattezze attraverso veli e vestiti trasparenti e che poi accompagnava il cliente nella camera al piano superiore.
Pina, una signora torinese gentile e generosa che amava allevare le tortore e i conigli, aveva gestito anni prima una delle tre case di tolleranza allora situate in via Santa Caterina.
Nel libro "La fragranza del pane" di Irma Ferranti Cesari, l'autrice racconta, fra i ricordi della sua fanciullezza, di una sua zia che faceva la cuoca in quella casa e che lei, ragazzina, le faceva spesso compagnia sedendo in un angolo della cucina.
"Da lì - racconta - guardavo mia zia mentre preparava qualcosa di speciale, fuori orario… Attigua alla cucina c'era una sala da pranzo arredata con tavoli rotondi ben apparecchiati, con fiori al centro e candelieri d'argento e una luce discreta che creava un'atmosfera di intimità.Ma c'è anche chi non ha dimenticato la signora Bianca, affabile e cortese, tenutaria, in quegli anni, della "casa" situata ad angolo tra via Santa Caterina e via del Cassero.
La coppia che sedeva al tavolo veniva servita direttamente dalla signora Pina. Io sedevo sempre in modo da poter sbirciare dentro ogni volta che apriva la porta. Vedevo le ragazze giovani e belle, vestite come delle principesse, conversare e ridere felici…."
"Marca" o "marchetta" La "marca" o "marchetta" rappresentava il "biglietto" pagato dal cliente, che la ragazza riceveva dalla cassiera (tenutaria della "casa" o maitresse) per ogni singola prestazione effettuata.
In base al numero delle marchette che consegnava alla maitresse al termine della giornata lavorativa, essa veniva poi proporzionalmente retribuita con un compenso prestabilito, detratte le spese per vitto e alloggio.
Alla tenutaria spettava comunque l'obbligo di versare all'erario l'imposta generale sulle entrate, dovuta per gli incassi quotidiani.
Da Elsa e da Gina la marchetta era meno costosa, l'ambiente più… popolare, l'arredamento più spartano.
C'è chi ricorda la marchetta a 70 lire (doppia marchetta 140 lire). Ma c'è anche chi ricorda il prezzo praticato nel 1957 (l'anno prima della chiusura dei bordelli), fortemente "lievitato" rispetto al precedente: 210 lire il "quarto d'ora", 1.260 lire la "mezz'ora".
Per "un'ora" di amplessi il prezzo saliva a 2.500 lire. Tempo "medio" concesso per la "consumazione" di una marchetta cinque minuti (pur se con una certa…. tolleranza). I clienti, provenienti da fuori Foligno, affluivano più numerosi nelle ore del pomeriggio e della sera.
Spesso i locali erano affollatissimi. L'ingresso era interdetto ai minori di 18 anni e su questo le tenutarie erano intransigenti, cacciando in malo modo qualche "sbarbatello", che voleva fare il furbo o non esibiva la carta d'identità.
Non si poteva soggiacere al "rito dell'iniziazione" se non s'erano compiuti i 18 anni. Durante l'occupazione alleata (1944-1946) era… "proibito" ai militari di quell'esercito l'accesso alle case di tolleranza.
Le "case" erano "sorvegliate" dalle pattuglie della "Military Police" che si aggiravano per le vie di Foligno ed appositi avvisi affissi all'inizio di via del Giglio ("Out of limits") "consigliavano" i soldati "alleati" a non farsi sorprendere da quelle parti e a "mortificare" certe… "perverse" tentazioni.
Arrivi e… partenze. Gli "incerti" del mestiere. Le ospiti "soggiornavano" nella "casa" quindici giorni. Il "cambio" delle ragazze avveniva cioè ogni quindici giorni e ad ogni "quindicina" si rinnovava la curiosità dei clienti più affezionati per vedere le nuove… "arrivate", che solitamente dalla stazione ferroviaria raggiungevano il posto di lavoro in carrozzella o in taxi.
Alcune delle "ospiti" erano anche volgari nell'aspetto e nei gesti (per lo più erano spinte dal bisogno a fare il "mestiere"), altre erano invece "gradevoli" e riservate, con una carica umana e una ricchezza di esperienza che le faceva diventare per alcuni le confidenti delle proprie pene personali.
E c'era anche chi nel "casino" coronava il suo sogno d'amore. La professione della prostituzione, esercitata da donne di diversa cultura e diversa estrazione che intrattenevano uomini di ogni ceto, era di fatto tollerata nella consapevolezza del ruolo che rivestiva nel contesto sociale.
In civiltà antiche come quella greca e quella romana era ritenuta un'attività degna di grande rispetto e di grande considerazione sotto l'aspetto sociale.
Scrupolosi erano i controlli igienico-sanitari, grazie alle visite del medico due volte la settimana.
Ciononostante, qualche rischio si poteva correre lo stesso. Di contrarre, per esempio, la "blenorragia", in forme più o meno virulente, comunque curabili. Oppure, si poteva uscire infestati dal "pediculus inguinalis", il cosiddetto pidocchio del pube, meglio conosciuto come "piattola", senza escludere il possibile "attacco" di "condilomi acuminati", volgari ma non meno fastidiose "creste di gallo".
Ma c'era da tener conto anche dell'esperienza delle ragazze, accorte… professioniste del sesso, che non indugiavano ad allontanare quei clienti "sospetti", presunti "portatori" di tali possibili "contagi".
Lanfranco Cesari
dal Corriere dell'Umbria Mercoledì 8 Ottobre 2008
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